Dalle analisi del MEF sulle dichiarazioni e del MiSe sugli incentivi emerge un abbaglio di massa. Per circa 41.000 imprese il rischio è di pagare multe salatissime, per aver fruito indebitamente dell’incentivo per l’acquisizione di software nell’ambito dei programmi di investimento Industria 4.0.
Riportiamo un'interessante articolo, pubblicato il 18/02/2020 dal giornalista Franco Canna su IInnovationpost.it e in contemporanea su Italia Oggi, in cui prova a spiegare perché è meglio far fare subito le opportune verifiche ai commercialisti o agli uffici contabili e scegliere, nel malaugurato caso si rientri nella casistica che vi racconteremo in questo articolo, la via del ravvedimento operoso.
Che cosa dice la legge
Come è noto, i commi 9 e 10 dell'articolo 1 della legge 232/2016 introducono nell'ordinamento italiano gli incentivi per Industria 4.0. Il comma 9 prevede la possibilità di maggiorare del 150% gli investimenti in beni materiali strumentali 4.0 indicati nell’allegato A (e quindi portare in detrazione un valore pari al 250% dell’investimento). Il comma 10, invece, prevede che "Per i soggetti che beneficiano della maggiorazione di cui al comma 9 e che, nel periodo indicato al comma 8, effettuano investimenti in beni immateriali strumentali compresi nell’elenco di cui all’allegato B annesso alla presente legge, il costo di acquisizione di tali beni è maggiorato del 40 per cento".
Dunque c’è una condizione esplicita: la possibilità di fruire dell’incentivo per il software è riservata solo ed esclusivamente a chi abbia effettuato almeno un investimento in un bene materiale 4.0.
I numeri delle dichiarazioni
Nelle scorse settimane sono stati resi noti dal Ministero dell’Economia e delle Finanze i dati delle dichiarazioni 2018 relative all’anno 2017, quando cioè gli incentivi sono entrati pienamente a regime per tutte le aziende. Ebbene, stando a quanto comunicato dal Ministero, sono stati 8.300 i soggetti fruitori dell'hardware (beni strumentali) e ben 18.700 quelli che hanno utilizzato il codice relativo all’incentivo per il software. Sono quindi almeno 10.400 le aziende che hanno fruito di un incentivo senza averne titolo (incentivo per il software senza aver utilizzato quello per i beni strumentali).
Trattandosi di un dato anomalo, Canna ha chiesto al Ministero dell’Economia e delle Finanze una conferma di questi numeri e di poter visionare i dati analitici delle dichiarazioni. Al momento in cui scriveva l'articolo non ci gli era però stato consentito.
Ma non è tutto. Anche il Ministero dello Sviluppo Economico ha elaborato le stesse dichiarazioni 2018 e poche settimane fa e che aveva a sua volta presentato in un incontro con le imprese presso Ucimu. In quell’occasione il dirigente del Ministero, Marco Calabrò, aveva mostrato una slide con il numero complessivo delle aziende che avevano fruito degli incentivi 4.0 (hardware e software) nel 2017: oltre 56.000 soggetti.
Su sollecitazione del giornalista, il MiSE ha fornito la suddivisione di questi fruitori tra i due incentivi, dati che sono stati forniti. I numeri sono diversi da quelli del Ministero dell’Economia e delle Finanze, probabilmente a causa di conteggi fatti su basi diverse. Ebbene, la situazione che emerge è, se possibile, ancora più preoccupante.
Complessivamente le aziende fruitrici degli incentivi 4.0 sono 56.302 così composte: 15.291 i fruitori dell’iperammortamento al 250% sull’hardware (Allegato A) e ben 42.459 i fruitori dell’incentivo al 140% sul software. Ma solo 1.448 imprese hanno richiesto (correttamente) l'incentivo sul software insieme all’iperammortamento sull’hardware (quindi 13.843 aziende hanno fruito solo dell’iperammortamento sull’hardware). Le aziende “fuorilegge”, che hanno fruito indebitamente della sola agevolazione sul software, sono quindi 41.011. Queste ultime hanno sicuramente commesso un errore.
La spiegazione che non c’è
Quarantunomila aziende è una cifra pazzesca alla quale l'autore ha cercato di dare almeno una spiegazione logica, contattando diversi esperti.
Qualcuno ha ipotizzato che il numero dei fruitori dell’incentivo sul software sia superiore a quello dei fruitori dell’incentivo sull’hardware perché l’interconnessione del software è immediata, mentre per molti macchinari l’interconnessione potrebbe essere slittata all’anno successivo. Questa ipotesi, che comunque non spiegherebbe l’elevatissimo numero di casi, va comunque esclusa: la legge infatti prevedeva la possibilità di fruire dell’incentivo sul software solo se si faceva un investimento in un bene materiale 4.0. E un bene non è considerato 4.0 dalla legge se non viene interconnesso, tant’è che in attesa dell’interconnessione si poteva fruire solo del normale superammortamento. In altre parole, il diritto a fruire dell’incentivo sul software comunque “scatta” soltanto a interconnessione avvenuta anche per l’hardware.
Più convincente un’altra ipotesi, che aiuta quantomeno a capire l’errore: nel 2017 l’aliquota dell’incentivo sul software (140%) era la stessa prevista per il superammortamento sui beni strumentali semplici (di cui ha fruito oltre un milione di contribuenti), chi non ha letto il testo della legge potrebbe essere caduto in errore, pensando che l'incentivo sul software fosse collegato al superammortamento e non all'iperammortamento, ovvero che uno fosse la “versione software” dell’altro. Così però non è.
È solo un tentativo di spiegazione di un fenomeno che ha dell'incredibile e che potrebbe essere solo la punta dell'iceberg: se le imprese hanno fatto confusione su un punto della normativa che era chiaro fin dal principio, chissà quante avranno commesso errori su aspetti della normativa di ben più difficile interpretazione, sui quali sono intervenute diverse circolari del Ministero dello Sviluppo Economico e dell'Agenzia delle Entrate.
Il ravvedimento operoso
A meno che non emergano errori nei numeri, dobbiamo comunque rassegnarci ad accettare l’ipotesi che ci sia stato un clamoroso errore di massa.
A questo punto la probabilità che arrivino accertamenti da parte delle Entrate è molto, molto alta: basti pensare alla "carneficina" che è già avvenuta per gli errori commessi dai contribuenti per il credito d'imposta per la ricerca e sviluppo.
Quando scatteranno i controlli su queste dichiarazioni, i contribuenti, oltre a dover restituire gli incentivi indebitamente fruiti, dovranno pagare interessi di mora e pesanti sanzioni.
la cosa migliore da fare allora è innanzitutto tornare dai consulenti fiscali che hanno curato quelle dichiarazioni e controllare se in quegli anni è stata richiesta la fruizione di questi incentivi. da verificare, in particolare, se nel modello Redditi 2018 è stato compilato il rigo RF55 usando il codice 56 (quello per l’incentivo sul software) senza usare anche il codice 55 (quello per l’iperammortamento).
In questo caso vale la pena di prendere seriamente in considerazione il ravvedimento operoso, che risulterà sicuramente meno pesante di un accertamento dell’Agenzia delle Entrate.
Considerazioni finali Errevi Consulenze
Questo interessantissimo articolo fa emergere in modo clamoroso quanto importante sia l'analisi e la predisposizione della corretta documentazione, che risponda a quanto a quanto effettivamente richiesto dalla normativa e non sia semplicemente una dichiarazione di possesso dei requisiti (la normativa chiede in maniera netta di dimostrare i requisiti, non di dichiararne semplicemente il possesso, e le due cose profondamente, enormemente diverse)...
Troppo spesso consulenti d'assalto impreparati (a volte per presunzione e supponenza, a volte con ignoranza nella tematica) a gestire una materia così complessa finiscono con il creare un danno a volte irreparabile (lo abbiamo visto innumerevoli volte sul credito d'imposta Ricerca & Sviluppo, sulla Tremonti Ambientale, ecc.): ecco perchè il nostro slogan è "...se credi che un professionista ti costi troppo, è perché non hai idea di quanto ti costerà alla fine un incompetente.."
Guarda anche Super e Iperammortamento, i numeri del MiSE: ecco chi ha sfruttato gli incentivi
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